lunedì 6 maggio 2013

La lista dei nomi proibiti



Una delle più difficili decisioni per una coppia,che talvolta ha portato alla rottura del matrimonio stesso,è la scelta del nome da dare al propio figlio quando nasce.Che sarà maschio o sarà femmina, la lista è sempre abbastanza lunga.Ma molti non sanno che la lista non è infinita infatti a secondo di dove viviamo esiste una lista di nomi proibiti per i bambini.
Nuova Zelanda. Duca, Reale, Giudice, Cavaliere, Regina e Lucifero. Cosa hanno in comune? Sono tutti tra i 77 nomi di battesimo che i genitori del verde Paese del Commonwealth non possono dare ai propri figli. Dalle parti di Auckland pensano che potrebbe costituire un’occasione di persecuzione o di offesa anche avere per nome Giustizia o chiamarsi come un numero dell’Antica Roma. Del resto, nel recente passato, in Nuova Zelanda è scoppiato un caso per una bimba, che aveva compiuto ormai nove anni ai tempi della sentenza, chiamata Talula Does The Hula From Hawaii. I giudici hanno anche vietato a due gemellini il nome Fish and Chips. Al bando perfino Stallone. Troppo rigidi? Dipende. Per esempio si è liberi di scegliere Bus Numero 16 e Violenza.
 
Italia. Nel Belpaese la scelta del nome dei nuovi nati è regolata addirittura con un Decreto del Presidente della Repubblica. Nonostante
il potere di veto dell’ufficiale di Stato Civile sia stato ridotto, sono ancora vietati i nomi ridicoli o vergognosi e quelli stranieri devono essere espressi in lettere dell’alfabeto italiano, con estensione alle lettere J, K, X, Y, W. Ci sarebbe anche il divieto per l’imposizione di nomi geografici. In questo caso, però, c’è una certa tolleranza. Così Italia, Europa o America sono sempre stati più o meno accettati. E per Asia ci si è appellati perfino a un’antica divinità. Non mancano, comunque, casi clamorosi. Come quando nel 2008 il giudice ha vietato ad una coppia, evidentemente appassionata del romanzo 'Robinson Crusoe' di Daniel Defoe, di chiamare il loro figlio Venerdì. L’obiezione è che avrebbe potuto influire negativamente sulla vita sociale del bambino. A Torino, poi, è stato respinto Andrea per una bambina, perché questo nome è considerato prettamente maschile in Italia. I genitori, in questo caso, hanno ripiegato su Emma.
 
Svezia. Brfxxccxxmnpcccclllmmnprxvclmnckssqlbb11116. Non siete riuscite a leggerlo o non avete capito di cosa si tratta? Non ci crederete, ma è il nome che una coppia svedese ha cercato di affibbiare al proprio figlio nel 1996. Motivo? Una protesta contro le severe leggi locali, che prevedono il beneplacito preventivo dell’autorità sull’associazione di cognome e nome. Il governo di Stoccolma ha vietato anche Metallica, Veranda e Ikea. Google, invece, è accettato. Un vero smacco per il colosso del mobile, fondato proprio in Svezia.
 
Norvegia. Non in tutta la Scandinavia si ragiona allo stesso modo. A Oslo e dintorni, ad esempio, la lista di nomi ufficialmente sanzionati prevede un divieto generale di usare termini ispirati da parolacce, sesso e malattie. C’è chi ancora ricorda il caso di una donna che nel 1998 voleva dare a tutti i costi alla sua tredicesima figlia il nome Gesher (ebraico per ‘ponte’) perché le era apparso in sogno. I giudici, però, avevano avuto gli occhi ben aperti.
Germania. La precisione teutonica non viene meno nemmeno per i nomi dati ai bambini. C’è, infatti, un intero reparto (il Standesamt) che si occupa della questione. Così recentemente è stato vietato Miatt perché non indica chiaramente se il figlio è un bambino o una bambina. In passato ci sono state dispute di carattere musicale. Respinti Woodstock e Grammophon, accettati Lafayette e Jazz.
Malesia. In Asia è uno degli Stati più rigidi in materia di nomi di battesimo. Qualcuno ancora ricorda quando “Chow Tow”, che significa “Testa Puzzolente”, è stato messo al bando perché ritenuto non in linea con le tradizioni locali. Stessa sorte per “Ah Chwar” (serpente), “Khiow Khoo” (gobbo) e “Sor Chai” (matto). E’ stato rifiutato perfino 007. Chissà il dispiacere del famoso James Bond e di Sua Maestà.
Usa. E’ la patria del libero mercato e della competizione, ma a tutto ci dovrebbe essere un limite. Non è quello che è successo ad una coppia, evidentemente ossessionata dai social network, che nel novembre scorso ha chiamato la proprio figlia  Hashtag  Jameson. Avete capito bene: la bimba ha proprio il nome delle etichette che si usano su Twitter per catalogare il tema del messaggio. L’annuncio è stato orgogliosamente dato dai genitori su Facebook, il social network antagonista. Almeno la par condicio è salva.

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